La Chevron risarcirà i danni ambientali causati nell’Amazzonia Ecuadoreña

 

Il 14 febbraio del 2011 si è conclusa la causa che le comunità indigene ecuadoriane avevano iniziato nel lontano 1993 contro la Texaco, una società petrolifera dal 2001 assorbita dalla Chevron (la seconda maggiore compagnia del settore dopo la ExxonMobil). La sentenza, pronunciata  dal giudice Nicolas Zambrano, condanna la multinazionale ad un risarcimento di ben 8,6 miliardi di dollari per danni ecologici provocati nell’Amazzonia ecuadoriana e per i gravi danni di salute che il fenomeno ha causato alle popolazioni locali.

Le origini del procedimento risalgono al 1964, quando la società petrolifera Texaco inizia le operazioni di ricerca del greggio nella provincia di Sucumbíos e nel 1967 scopre a Lago Agrio il primo giacimento. Da allora in poi si avviarono le estrazioni e il luogo cominciò a trasformarsi, come definito nella sentenza stessa, “nella zona industriale più contaminata al mondo”. Infatti, secondo quanto testimoniato e provato dall’accusa in un dossier di circa 200 mila pagine, si è calcolato che tra il 1964 e il 1990 la multinazionale abbia riversato nell’ambiente più di 68.000 milioni di litri di scarti tossici nei fiumi locali, abbia abbandonato più di 900 pozze piene di residui delle estrazioni petrolifere e che abbia sversato 64.000 milioni di litri di greggio a causa della rotture accidentali di oleodotti. Il disastro ha fortemente compromesso l’ecosistema e al territorio amazzonico ed ha anche aumentato il rischio di malattie mortali per gli abitanti del territorio.

La decisione del Tribunale ecuadoreño è sicuramente storica ma la cifra stimata non è sufficiente per risanare i 4400 kilometri contaminati perché i danni sono superiori ai quasi 9 miliardi di dollari che la Chevron dovrà pagare. La Amazon Defense Coalition, l’associazione che raggruppa i 30 mila querelanti, aveva infatti chiesto un risarcimento di 27 miliardi di dollari. Dopo 40 anni dal primo insediamento in Ecuador della Texaco e al termine di ben 17 anni di lotte giuridiche, Pablo Fajardo, l’avvocato che rappresenta le comunità indigene, sottolinea sì il “trionfo della giustizia” ma afferma anche che molto probabilmente ricorreranno in apello perché i danni reali potrebbero raggiungere i circa 113 miliardi di dollari.

La strategia di tutte le società che operano in settori così rischiosi, e per la fauna e la flora e per la salute degli abitanti, dovrebbe basarsi sulla precauzione perché, quando si ha a che fare con catastrofi ambientali, i danni sono sempre enormi, ma soprattutto la situazione ex quo ante è sempre molto difficile da ripristinare, se non impossibile. Come dichiarato da Fajardo, il crimine della Texaco è sistematico in quanto non si può circoscrivere ad un singolo episodio – come è avvenuto invece nel caso di molti altri disastri ecologici, il più recente quello della marea nera nel Golfo del Messico causato dalla British Petroleum – ma si è perpetuato per ben 4o anni. Il presidente dell’Ecuador, Rafael Corea, parla di crimine contro l’umanità commesso dalla compagnia petrolifera dal momento che l’inquinamento ha sterminato villaggi interi e, stando a quanto affermato da uno studio della Amazon Defence Coalition, entro il 2080 potrebbe provocare ancora 10.000 morti per malattie tumorali, anche qualora la Chevron bonificasse e rinasse la zona in maniera sostanziale.

Dal canto suo la grande multinazionale americana, nel valutare la sentenza come “illegittima ed inapplicabile”, ha dichiarato la sua intenzione di non pagare il risarcimento e di ricorrere in giudizio.

 

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