Il Rapporto Brundtland (1987)

Nel 1983 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite affidò alla Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo (World Commission on Environment and Development, WCED), la redazione di un rapporto sulla situazione mondiale dell’ambiente e dello sviluppo. “Our Common Future”, più comunemente detto Rapporto Brundtland, dal nome del primo ministro norvegese Gro Harlem Brundtland che presiedeva la Commissione, venne presentato il 4 agosto del 1987. Il documento ha importanza fondamentale perché pose le basi della seconda fase dello sviluppo del diritto internazionale ambientale, iniziata a Stoccolma e caratterizzata dalla conclusione di trattati soprattutto di natura settoriale e basati sulla prevenzione del danno e sull’inquinamento transfrontaliero. A partire dalla Conferenza ONU di Rio de Janeiro del 1992, tale processo sarà contraddistinto dall’esigenza di rendere compatibili lo sviluppo economico e la tutela ambientale, dall’estensione della cooperazione internazionale alle questioni ambientali globali, dalla conclusione di convezioni a vocazione universale fondate sul principio precauzionale.

Con tale documento si analizzano gli elementi più problematici della relazione tra ambiente e sviluppo, a soluzione della quale si avanzano delle proposte che Governi, Organizzazioni internazionali ma anche i singoli cittadini, dovrebbero mettere in atto, e per la prima volta si affrontano anche le criticità della tutela ambientale e quelle dello sviluppo economico sottolineando il legame che intercorre tra le stesse. Dopo aver spiegato lo stato del Pianeta, il rapporto Brundtland promuove un nuovo modello di crescita che dovrà basarsi su uno sviluppo di tipo sostenibile. Il concetto dello “sviluppo sostenibile”, introdotto nel 1987 per la prima volta, si basa sull’idea secondo cui bisogna dar vita ad una forma di sviluppo presente che non intacchi però l’ambiente al punto da compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare le proprie esigenze di godimento delle risorse naturali. Ne consegue anche una nuova maniera di gestire le relazioni economiche tra Stati i quali dovranno garantire un utilizzo “sostenibile” delle risorse naturali, in particolare sfruttando quelle non rinnovabili in modo tale da non causarne il rapido esaurimento e quelle rinnovabili non senza tenere in debita considerazione la loro capacità di rigenerazione e quindi evitando di determinarne il progressivo logoramento.

Da questo momento in poi il concetto di sviluppo sostenibile avrebbe imperniato di sé tutta la produzione normativa internazionale volta alla tutela ambientale e rispecchiato l’esigenza fondamentale per cui nelle politiche di sviluppo non si potesse più prescindere dal considerare strumenti e misure che di pari passo proteggessero anche la natura e l’ecosistema.

 

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