La Convenzione sulla Diversità Biologica (CDB) (1992)

La Convenzione sulla diversità biologica è uno dei principali trattati ambientali globali il cui scopo è quello di proteggere la diversità biologica o biodiversità. Il trattato, di cui oggi sono membri ben 192 Stati, è stato aperto alla firma nel giugno del 1992  – insieme alla Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici – in seno alla Conferenza della Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo ed è entrato in vigore il 23 dicembre del 1993.

Ma che cosa si intende per “diversità biologica”? Secondo quanto affermato dall’art.2 della Convenzione stessa, il concetto si riferisce a:«la variabilità degli organismi viventi di ogni origine, compresi inter alia gli ecosistemi terrestri, marini ed altri ecosistemi acquatici, ed i complessi ecologici di cui fanno parte; ciò include la diversità nell’ambito delle specie, e tra le specie degli ecosistemi». Dalla lettura dell’art.1 si possono invece estrapolare i tre obiettivi che gli Stati devono perseguire nell’applicare l’Accordo, ovvero:

1)la conservazione della diversità biologica,

2)l’utilizzazione durevole dei suoi elementi e la ripartizione giusta ed equa dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche, mediante, tra l’altro, un accesso adeguato alle risorse genetiche,

3)un trasferimento opportuno delle tecnologie pertinenti, tenendo conto di tutti i diritti su tali risorse e tecnologie, e mediante finanziamenti adeguati.

Le strategie per raggiungere i suddetti scopi  dovranno quindi vertere sulla conservazione della biodiversità tanto  in situ quanto ex situ. Nel primo caso ci si focalizzerà sull’istituzione e sulla gestione delle aree protette anche al di fuori di esse per assicurarne conservazione e utilizzazione sostenibile, sulla protezione di habitat ed ecosistemi e sul ripristino di quelli degradati. Nel secondo caso si prenderanno misure per conservare ex situ elementi costitutivi della diversità biologica principalmente nel paese d’origine per completare quelle in situ, misure per il ricupero e la ricostituzione delle specie minacciate e per la reintroduzione di dette specie nei loro habitat naturali in buone condizioni, ricerca su piante, animali e microorganismi, di preferenza nei paesi d’origine delle risorse genetiche.

A differenza di altri trattati internazionali, la CBD sancisce obiettivi piuttosto generali e lascia al diritto interno delle singole Parti contraenti, l’elaborazione di specifiche strategie per identificare e valutare le risorse biologiche presenti nel loro territorio e, quindi, istituire sistemi di aree protette. Infatti, la Convenzione non recepisce il sistema delle liste mondiali delle specie o degli ecosistemi da tutelare, e rimette agli Stati la competenza di adottare misure speciali per proteggere gli ecosistemi e gli habitat naturali, per promuovere lo sviluppo sostenibile ed ecologicamente sano nelle zone adiacenti, per ripristinare le specie di fauna e di flora minacciate e risanare gli ecosistemi degradati.

Il 29 gennaio del 2000 la Conferenza delle Parti (COP) della CDB ha adottato il Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza, che ha come obiettivo la protezione della biodiversità dai rischi derivanti dal trasferimento degli organismi viventi modificati (OVM) derivanti dall’utilizzo delle biotecnologie. Nel 2002 la COP della CBD si era impegnata a raggiungere entro il 2010 una significativa riduzione del ritmo della perdita di biodiversità a livello globale, regionale e nazionale, come contributo all’attenuazione della povertà e a vantaggio di tutta la vita sulla terra. Tale obiettivo, che rientra anche nel Piano d’attuazione del Vertice di Johannesburg e nei Millennium Development Goals del 2005, sembra aver registrato un qualche lieve miglioramento in alcuni degli ambiti della biodiversità ma resta ancora ben lontano da una riduzione significativa che possa far registrare il conseguimento dello scopo degli accordi siglati in materia.

Per approfnodire su Conservazione della diversità biologica : http://www.cbd.int/

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